Cacciari l’ombroso tra scienza e politica

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La setta e lo sciame. Da una parte la setta degli scienziati chiusa in sé stessa, dall’altra lo sciame dei politicanti, demagoghi, ignoranti e irresponsabili. Massimo Cacciari è quell’ombroso filosofo che si fa burbero in video e maledice tutti col suo giudizio apocalittico sul presente, ma non riesce poi ad abbandonare la maledetta politica.

Ha scritto un denso libretto, Il lavoro dello spirito (Adelphi), che in apparenza è dedicato a Max Weber nel centenario della sua morte. Ma Weber è in realtà per Cacciari il mezzo di trasporto per un viaggio dedicato alla politica, schiacciata tra la scienza e il capitale, col rischio aggiuntivo che compressa ai lati, fuoriesca da sotto la scorciatoia populista e plebiscitaria. Dietro il paravento di Weber c’è il confronto con Nietzsche e Carl Schmitt, c’è la lezione di Mario Tronti e di Toni Negri.

Provo a sintetizzare la sua tesi. Per la prima volta nella storia delle civiltà i valori dominanti sono quelli economici; il capitalismo vigente è di natura finanziaria, la sfera pubblica è subordinata alla sfera privata. Cresce a livello popolare la tentazione plebiscitaria, la voglia di andare oltre la democrazia parlamentare, fino alla dittatura. Al contrario di quel che si ripete da tempo, il capitalismo d’oggi per Cacciari ha bisogno di un’autorità politica; la globalizzazione ha bisogno di un Impero. La politica non è dunque il passato del capitalismo ma può esserne il futuro. E alla politica sarà necessario anche “un timbro religioso”. Per Cacciari la contraddizione fra libertà e uguaglianza può essere conciliata solo nel terzo elemento negletto della triade rivoluzionaria, la fratellanza. Lo pensa anche Alain de Benoist (e pure lui, come Cacciari e su altri versanti Negri o Remi Brague, ha come pendant politico l’Impero). Fratellanza vuol dire legame sociale caldo, senso comunitario. Ma con una differenza: se la fratellanza è universale non è più comunitaria ma umanitaria, porta a Bergoglio o alla vecchia utopia comunista, poi terzomondista, ora migrazionista. Ogni fratellanza senza un pater (e una mater) però degenera in fratricidio. La fratellanza funziona se riconosci una comune origine e tradizione; se ci sono principi superiori non negoziabili a cui ricorrere in caso di divergenza. Altrimenti è caos e guerra civile.

Cacciari non risparmia critiche “alla grande sciagura della fede nel progresso” (Burckhardt) e allarga il disincanto weberiano anche alla pretesa “natura liberatrice del progresso scientifico”. Riconosce invece la lezione del realismo decisionista e come Machiavelli pensa che fare politica comporti anche “saper entrare nel male”. Ma da un verso irrompe nella politica “una moltitudine incompetente” di cui – aggiungiamo noi – il grillismo è la più vistosa espressione; dall’altro prende corpo e consenso il sovranismo nel mito del popolo e del suo capo, senza mediazioni. Sul sovranismo Cacciari rinverdisce la vecchia tesi marxista applicata al fascismo (per esempio da Luckàcs): lo vede come maschera del mondo capitalistico, copertura ideologica e contenimento delle spinte avverse. Osservando la realtà, il sovranismo è considerato invece come la bestia nera dallo stesso capitalismo globale e dall’establishment progressista e liberal che sorregge. L’idea del sovranista come guardia bianca del capitale, un po’ come veniva giudicato il fascismo o la reazione, non spiega poi perché la dominazione del nostro tempo sia piuttosto sull’asse tra sinistra politica e capitalismo tecno-globale. E il mondo attuale sorge da un patto tra capitalismo e comunismo per sconfiggere il “nazifascismo”.

Se si pensa a Trump o a Bolsonaro, il loro sovranismo sarà pure infarcito di temi pop-liberisti e nazional-capitalisti; ma il capitalismo finanziario e global è contro di loro. La loro forza è il voto popolare. Nella contesa globale che si profila, il sovranismo – se avrà consapevolezza e consistenza – è in chiara antitesi al globalismo e alle forze economiche e tecnocratiche, ideologiche, mediatiche e politiche che lo sostengono. Non è la sua maschera ma il suo nemico; che sia adeguato o meno sarà da vedere.

Resta invece condivisibile in Cacciari la riscoperta della grande politica saldata ai temi comunitari, religiosi e spirituali, anche se è perlomeno prematura l’idea di andare “oltre lo stato” e oltre le nazioni. E’ pure condivisibile l’idea di formare “classi dirigenti professionalizzate ma libere dall’idolatria dello specialismo”; il politico deve saper fare e non solo fare; senza essere uno specialista, un tecnico, un esperto settoriale.

Cos’è dunque la politica? Lasciamo Cacciari e proviamo a dirlo in poche parole. La politica è una corda tesa tra conflitto e consenso, che ha per base la partecipazione, per altezza la decisione e per scopo il bene comune. Le decisioni di un buon governo derivano dalla sintesi di tre fonti con la realtà: la maggioranza, l’esperienza e la competenza, vale a dire il voto del popolo sovrano, la lezione della storia e della tradizione, il giudizio degli esperti. Se un fattore schiaccia gli altri, il potere degenera. È necessario l’equilibrio delle fonti. La politica deve esercitare il suo ruolo sovrano sull’economia e sulla tecnica, autonomo dai poteri giudiziari e finanziari, rappresentando gli interessi generali, pubblici e nazionali (o in altro contesto, sovranazionali); deve rispettare e far rispettare la legge. Definita la Politica, manca però un piccolo, gigantesco dettaglio: i politici. Dove sono i politici che possono trasformare la teoria in pratica di potere? Poi ti chiedi perché Cacciari è sempre imbronciato.                                            (Marcello Veneziani)