Il nobel Giorgio Parisi: “Dai Grandi solo parole un vero piano non c’è”

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Al G20 si è raggiunta un’intesa sul contenimento del riscaldamento globale entro 1,5 gradi, ma una cosa è dirle queste cose

Un’altra è stabilire concretamente una serie di misure da affrontare, una road map; altrimenti fra cinque anni ci si ritrova per constatare l’impossibilità del risultato. Se non si realizza un piano dettagliato, e condiviso dalle nazioni, è difficile pensare che la promessa sia mantenuta». C’è molto scetticismo nelle parole del Premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi, studioso dei sistemi complessi, com’è quello del clima che cambia.

Prima di tutto, rispetto al clima c’è ancora chi esprime dei dubbi sulle affermazioni degli scienziati. La scienza oggi è capace di decifrare con precisione il problema?

«Le previsioni ci danno uno spettro di possibilità, e anche quelle più prudenti offrono valori sicuri e affidabili che corrispondono ad aumenti forti nei cambiamenti. Quello che adesso ci serve è una maggiore ricerca per ridurre il ventaglio delle ipotesi, renderle più precise e soprattutto diventare sempre più efficaci nel controllo degli eventi imprevisti. Negli ultimi tre anni, per esempio, sono aumentati gli incendi boschivi che immettono grandi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera. Fare una stima è arduo, ma di sicuro simili eventi accelerano il peggioramento». Tornando al «piano dettagliato» che lei chiede, che cosa intende ?

«Intanto bisogna capire che gli interventi necessari incidono sulle abitudini delle popolazioni. Quando vado ad Hong Kong devo girare con il maglione di lana in metropolitana o in hotel per proteggermi dal freddo pure d’estate… Sono questi sprechi che bisogna eliminare. Comunque, prima di tutto serve la lista precisa degli interventi da attuare».

Al di là degli impegni ottenuti al G20 di Roma, le posizioni dei grandi Paesi a Glasgow restano diverse…

«Questa è la realtà. Si tratta di economie nazionali in concorrenza fra di loro. Il problema fondamentale è “frenare” queste economie per rallentare le emissioni e farlo con il consenso delle popolazioni. Si è poi parlato di cento miliardi di dollari all’anno da garantire ai Paesi in via di sviluppo per aiutarli nell’acquisire tecnologie energetiche non inquinanti. Si tratta di noccioline per i Paesi ricchi, ma ancora molti di quei soldi non sono stati erogati. Si torna sempre al “prometti tanto e mantieni poco”».

Da più parti si afferma che il ricorso alle energie rinnovabili non basta per tagliare le emissioni di gas serra. Che cosa ne pensa?

«E chiaro che bisogna far ricorso a tante risorse. A cominciare dal risparmio. Costruiamo mega-città verso le quali si incolonnano ogni giorno code di automobili… è evidente che occorre trovare il modo di consumare meno aumentando i servizi pubblici. Le nostre case devono essere adattate a una maggiore efficienza energetica e nelle aziende è necessario introdurre processi industriali meno dispendiosi in termini di energia. E ancora: bisogna convincere i cittadini, cominciando ad esempio ad accettare di più il car sharing per muoversi. C’è un enorme spreco nella fabbricazione di automobili: diminuirla aiuterà».

Per disporre di una fonte energetica senza emissioni, in vari Paesi si fa strada l’ipotesi del ritorno al nucleare…

«Sulla questione bisogna guardare al rapporto danni-benefici e tutto dipende dal Paese. Se Chernobyl fosse stata in Val Padana, con una popolazione molto superiore a quella zona dell’allora Urss, avrebbe provocato milioni di morti. In ogni caso è da escludere in Paesi come l’Italia densamente abitati. Per la quarta generazione degli impianti nucleari a fissione di cui si parla perché più sicuri, adesso esistono solo prototipi che devono dimostrare la loro qualità; tuttavia sono sempre da escludere dove vive la gente. E diverso se i cinesi vogliono realizzarle in zone remote».

Ritiene possibile l’obiettivo delle «emissioni zero» per la metà del secolo?

«Senza un piano preciso è un’illusione. Quando al Cern decidono di costruire un nuovo acceleratore da accendere vent’anni dopo si comincia a stabilire di anno in anno che cosa disporre. E così che si deve agire. Per i trasporti se facciamo ricorso ai biocarburanti bisogna organizzarsi per produrli, altrimenti camion, navi e aerei continueranno a utilizzare risorse fossili».

In Italia facciamo abbastanza per affrontare il cambiamento climatico?

«Ho l’impressione che le cose non siano ben capite e ritenute necessarie. Non vedo la gente che installa pannelli solari sui tetti. A Roma se facciamo una ricognizione, sui tetti vediamo più piscine che celle solari. E evidente che le amministrazioni comunali dovrebbero predispone regole e sollecitare i condomini per attuare degli interventi, magari offrendo assistenza ai progetti senza onere alcuno».