Il referendum non sarà (per fortuna) un rigore a porta vuota

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I governi passano, la Costituzione resta. Dall’Anpi alle sardine, da Prodi alla Bindi, da Saviano a Montanari il No sta alzando una bella barriera su quel che doveva essere un rigore a porta vuota: “sono troppi, non fanno niente, che li paghiamo a fare?”. Una bella croce e le cinquestelle torneranno a brillare.

Macché! E’ vero che l’alleanza tattica Pd-M5S non ha trovato l’accordo su comuni candidature alle regionali ma ha costruito il suo trait d’union sul Sì al taglio del Parlamento per salvare Conte (e la legislatura, cioè se stessi). Ebbene, il budino non è riuscito e piace sempre meno se l’etichetta ci dice che il Sì è frutto di un mix di scelleratezza istituzionale e realpolitik di bassa lega.

Non reggeva ieri l’argomento anticasta del risparmio sui costi del Parlamento, non regge oggi la leggerezza con cui si mette in un cassetto la consapevolezza che toccare gli equilibri del nostro assetto costituzionale, anche marginalmente, sia un pericolo assolutamente da evitare.

Cari amici e compagni del Pd (ma anche quanti come la segreteria della Cgil aspettano non si sa bene cosa per pronunciarsi): davvero siete arrivati a ritenere che una legge elettorale ordinaria possa supplire a una menomazione costituzionale? Lo diceva bene nei suoi interventi Nadia Urbinati, così come ha fatto il presidente emerito dell’Anpi Smuraglia: chi sostiene il Sì, contribuisce, sic et simpliciter, all’umiliazione della politica e della democrazia rappresentativa. Ieri con una firma hanno abolito la povertà, ora con una croce vogliono cancellare un pezzo non secondario del nostro sistema elettivo!
Deriva plebiscitaria

C’è, ma non da oggi, di che preoccuparsi per una costante e progressiva deriva plebiscitaria. I correttivi promessi non ci sono, ma anche se ci fossero non sarebbero sufficienti. Nelle segrete stanze della politica si discute di una ipotetica nuova legge elettorale, che – udite udite – avrebbe come caratteri fondamentali il proporzionale (con sbarramento al 5% e diritto di tribuna) con liste bloccate e niente preferenze. Tradotto: nessuna possibilità per i cittadini di votare direttamente i propri rappresentanti al Parlamento che, invece, verranno scelti esclusivamente dai capipartito. E’ già nero su bianco nel testo base presentato la scorsa settimana in commissione Affari Costituzionali della Camera (favorevoli M5S e Pd, astenuti Leu e Iv, le opposizioni non hanno partecipato).

Se il buongiorno si vede dal mattino, laddove dovesse prevalere il Sì al referendum, quello che si prospetta è, come paventato da tanti, un Parlamento di 600 membri, composto nei fatti da battezzati e peones. Sui social un po’ si esagera ma non va lontano chi paventa, se passasse il Sì al referendum, di spianare la strada – esagerando, ma non più di tanto – ad un’oligarchia assoluta, una supercasta di nominati, specie per quelli che tra liste bloccate e “mandato zero” non nascondono il proprio interesse e tornaconto personale per un risultato che gli garantirebbe la poltrona a vita.