Renzi: “Dico no a un’Italia in coprifuoco. Fatta a distanza la scuola è dimezzata”

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Senatore Renzi, le piace il coprifuoco alle 22?
«Spero che non si arrivi a questa misura. Dobbiamo convivere ancora per mesi con il virus e non si può procedere sulla base di emozioni passeggere. Il coprifuoco può essere una misura emergenziale e temporanea, ma abbiamo ancora diverse settimane prima di arrivare al vaccino».

E dunque?
«Penso che sia più giusto concentrarsi sulle “t” mancano: tamponi rapidi, tracciamento, terapie intensive, trasporti pubblici. Chi vuole chiudere i parrucchieri che rispettano le regole prima deve spiegarci perché ci vogliono code chilometriche per i tamponi».

Sbagliata anche la didattica a distanza alle superiori?
«Per me non ha senso. Sono marito di una professoressa, padre di uno studente universitario e di due liceali: so per esperienza diretta che chiudere oggi le scuole e affidarsi alla didattica a distanza sarebbe una tragedia per chi crede nella sfida educativa. Con la didattica a distanza la scuola è dimezzata».

L’impressione è che non essendo in grado di controllare i trasporti sacrifichiamo i diritti degli studenti.
«Purtroppo è la stessa impressione che ho anche io. Si paghino più corse, si coinvolgano i proprietari di autobus privati, si usino Ncc e taxi che soffrono: ma mandiamo i ragazzi a scuola. Faccio una provocazione: anziché pensare di inviare l’esercito a controllare movida e negozi, mandiamo i pullman dell’esercito per accompagnare i ragazzi a scuola».

Ce l’ha con De Luca?
«Anche. Non ci rendiamo conto che la nuova generazione sta pagando un prezzo altissimo: scuole chiuse, mancanza di relazione e debito che cresce. Le classi vanno tenute aperte. I rappresentanti delle Istituzioni che vogliono chiuderle ci raccontino che cosa hanno fatto in questi otto mesi, a parte la campagna elettorale».

Lei non fa parte delle Istituzioni?
«Io lo dico da mesi che serve un piano per la scuola. Invece siamo arrivati al “banchi a rotelle sì e tamponi no”. Ma non mi va di discuterne, mi limito a dire che ero tra i pochissimi a parlare dei bisogni della scuola».

Il modello italiano, dunque il modello Conte, è un esempio mondiale.
«Spero che questo giudizio regga alla prova dei fatti. Da italiano, sarei fiero. Purtroppo è presto per dire se siamo un esempio o no. Io spero che la risposta delle Istituzioni sia all’altezza della risposta dei cittadini, che sono stati e sono fantastici. La capacità delle Istituzioni sarà chiara solo alla fine dell’emergenza, appena arriverà il vaccino. Che poi — con buona pace dei negazionisti e dei NoVax — è l’unico modo per uscirne. Sono molto orgoglioso dei ragazzi di Pomezia che hanno ottenuto risultati da record: è probabile che a Natale ci siano già milioni di dosi in giro per l’Europa».

Il sistema sanitario rischia di saltare, perché insistiamo con il no al Mes?

«È inspiegabile. Si tratta di un veto ideologico che nasconde la difficoltà a progettare il futuro. L’occasione per fare quello che Mario Draghi chiama “debito buono” è adesso: investire su medici e infermieri, superare l’imbuto formativo, investire soldi sulla ricerca e sui ricercatori, scommettere sulla medicina personalizzata, l’innovazione tecnologica applicata alla salute, creare centri d’eccellenza e ristrutturare la medicina sul territorio. Sono sfide drammatiche e bellissime che finalmente possiamo vincere anche grazie a una linea di finanziamento europea, più conveniente di qualsiasi altro strumento finanziario. Come si può dire di no senza provare un certo imbarazzo ideologico?».

Al Ministro Gualtieri non piace e in Europa non lo chiede nessuno.
«Noi abbiamo sostenuto per anni — anche con il mio Governo — la necessità di fare più investimenti per sostenere la crescita. Era la tesi chiave del Pse, partito cui Gualtieri ancora appartiene. Non so cosa gli sia successo nel frattempo. So che Zingaretti e centinaia di amministratori locali del Pd chiedono il Mes a gran voce, io sto con loro».

Abbiamo applaudito l’Europa nei giorni del Recovery, oggi scopriamo che quei soldi potrebbero arrivare solo la prossima primavera.
«Lei è un ottimista. Secondo me arriveranno nell’autunno del 2021. Ma ciò non cambia la portata storica della svolta europea che va verso una gestione comunitaria dell’indebitamento. E questa è una rivoluzione epocale. Il punto però è che i soldi non ci arrivano per caso».

E come arrivano?
«I soldi vengono se presentiamo dei progetti credibili. E i progetti credibili necessitano di una visione. Ecco perché chiedo da settimane di riunire un tavolo politico di maggioranza. Penso che Conte voglia attendere gli Stati Generali dei grillini e posso anche capirlo. Ma subito dopo bisogna guardarsi negli occhi e decidere dove si va. Perché altrimenti il lockdown diventa quello della maggioranza. Decidiamo dove andare e andiamoci insieme. Ma facciamolo presto. E facciamolo in modo trasparente, alla luce del sole».

Confindustria sostiene che la cura (il rischio di nuovi lockdown), rischia di diventare peggiore del male.
«Purtroppo hanno ragione. Ma sono certo che Conte abbia ben chiaro questo punto».

Landini minaccia lo sciopero generale. Il tessuto sociale si sta strappando?
«Spero di no. Conto sull’intelligenza di tutti. Contro chi lo facciamo lo sciopero? Contro il virus? D’altro lato il problema della crisi è drammatico. Leggevo il dato della CEI sui milioni di italiani che rischiano di essere risucchiati nel buco nero dell’usura, che poi oggi significa spesso criminalità organizzata. Sindacati, imprenditori, politici: tutti devono fare la propria parte. Minacciare lo sciopero mi sembra l’ultima delle priorità ma non ho la pretesa di insegnare a Landini il suo mestiere. Cerchiamo invece – tutti insieme – di attirare investimenti e dare una mano alle aziende. Se penso che qualcuno vuole introdurre tasse anche in questa manovra, segnatamente su zucchero e plastica, mi sento male. Siamo in crisi e alziamo le tasse a chi dovrebbe tenere in piedi l’occupazione?».

Ce la vede la Lega nel Ppe?
«Ma magari. Sarebbe la definitiva sconfessione di Salvini e l’inizio della costruzione di una destra moderata in Italia. Ma mi sembra una impresa ardua».

Senatore, corre per diventare segretario generale della Nato?
«No. Faccio sempre il tifo per le candidature italiane, come è ovvio, ma in questo caso si tratta di un incarico che scade nel novembre 2022. Anche solo parlarne adesso è assurdo. Piuttosto: mi piacerebbe che si discutesse di più di ciò che deve fare la Nato. Con la Turchia, certo, ma anche nel settore Cyber, nella sfida per il controllo tecnologico, nel Mediterraneo. Parliamo di idee, la prego, non di posti».