I tagli ai giornali rinviati al 2024

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A vederla con gli occhi dei deputati 5 Stelle più esperti, il blitz è stato organizzato ad arte

Il momento, d’altronde, era propizio: il caos tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte, una riforma della Giustizia che ha lasciato le truppe grilline tramortite e i militanti sul piede di guerra. E così, venerdì scorso, in commissione Bilancio della Camera, il tentativo è riuscito: con due emendamenti, uno di Fratelli d’Italia e uno del Pd (firmato da Paolo Lattanzio), sono stati rifinanziati i contributi diretti all’editoria facendo slittare di due anni, fino a tutto il 2023, i tagli al finanziamento pubblico previsti dalla riforma del pentastellato Vito Crimi del 2018.

Un’altra bandiera che il M5S ha dovuto ammainare per non creare ulteriori fibrillazioni all’interno della maggioranza. Tant’è che i voti di venerdì in commissione e poi di mercoledì in aula con la fiducia sono passati quasi sotto silenzio. Come a voler dire: sì, è andata così ma non facciamolo troppo sapere in giro. Epperò il risultato finale è di quelli che fanno male al Movimento 5 Stelle, anche solo ricordando il “Vaffa Day” di Beppe Grillo a Torino (“Libera informazione in libero Stato”) in cui lanciava la proposta di abrogare il finanziamento pubblico ai giornali e la prima proposta di legge presentata in Parlamento nel 2013 dal M5S che chiedeva allo Stato proprio di “risparmiare 70 milioni” l’anno se i contributi pubblici fossero stati eliminati.

Il primo emendamento in materia nel decreto Sostegni bis, nato per aiutare le imprese rimaste chiuse causa pandemia, è stato presentato da Fratelli d’Italia: per tutto il 2021 viene rinnovato il credito di imposta del 10% per tutte quelle imprese di quotidiani e periodici che hanno acquistato carta per stampare. Una misura che costa 30 milioni che andranno a rifinanziare il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione.

Ma è il secondo emendamento, quello targato Pd, che ha lacerato più i deputati pentastellati perché va a toccare direttamente una riforma, quella del 2018 dell’allora sottosegretario all’editoria Crimi, che aveva iniziato a tagliare i contributi diretti all’editoria (quotidiani, periodici, emittenti radiofoniche tra cui Radio Radicale) a partire dal 2022.

L’emendamento dem invece ha rinviato la sforbiciata alla fine del 2024. A quel punto la legislatura sarà finita e la scommessa Pd è quella che i 5 Stelle non abbiano più la maggioranza relativa in Parlamento per far ritornare in auge la questione. Così facendo lo stop totale dei contributi pubblici all’editoria slitterebbe addirittura al 2027, tra 6 anni, con la scommessa (davvero facile da vincere) che nel frattempo arriverà qualche altro emendamento o leggina che spazzerà via del tutto il taglio ai finanziamenti pubblici ai giornali approvati dal governo Lega-M5S. E così quelle due norme, che spazzavano via in un attimo anni di battaglie, i grillini non potevano certo approvarle: alla fine in commissione, ma non in Aula, si sono astenuti e i due emendamenti sono passati lo stesso.

Nel 2019 le cooperative, gli enti senza fine di lucro che stampano giornali e le pubblicazioni che rappresentano minoranze linguistiche hanno ricevuto circa 54 milioni di euro in contributi pubblici e a fine giugno il Dipartimento per l’informazione e l’editoria di Palazzo Chigi presieduto dal forzista Giuseppe Moles ha pubblicato i dati sulla prima tranche dei fondi 2020. In tutto poco più di 20 milioni che sono andati a 15 quotidiani: in particolare, 3 milioni al quotidiano altoatesino Dolomiten,

Il settimanale cattolico Famiglia Cristiana e Libero mentre poco più di 2 milioni sono andati ad Avvenire, Italia Oggi e Il Quotidiano del Sud. I restanti se li sono spartiti il manifesto (1,5 milioni), il Foglio (quasi un milione), il Quotidiano di Sicilia (500 mila euro) e altre testate locali. Ora potranno dormire sonni tranquilli per i prossimi anni.

Giacomo Salvini