Fornaro: in piano Colao punti irricevibili, male su condoni e giustizia sociale

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Ben vengano gli Stati generali dell’economia, “possono fornire spunti e stimoli utili”, ma “ovviamente non possono essere sostitutivi né del ruolo del governo e né tantomeno di quello del Parlamento. La politica non può sottrarsi alla responsabilità di dare una visione di Paese e fornire gli strumenti per la ripartenza”. Lo dice ad Affaritaliani.it Federico Fornaro, capogruppo di Liberi e Uguali alla Camera.

Presidente, non crede quindi che si tratti di un appuntamento superfluo?
Credo che mai come in questa fase ci sia la necessità di operare nello spirito di responsabilità e condivisione indicato più volte dal presidente della Repubblica.

A proposito di condivisione, è stato invitato?
Non ho ricevuto alcun invito.

Quindi, una rappresentanza del Parlamento per ora non è contemplata?
Ma guardi che gli Stati generali sono uno strumento. Il fine è il Recovery plan e su quello il Parlamento sarà centrale. Anzi, dovrà esserlo.

Non intravede in questo appuntamento a villa Doria Pamphili il rischio che si risolva in una passerella mediatica?
Questi rischi ci sono sempre quando si organizzano momenti di confronto. Poi spetta al presidente del Consiglio e ai ministri fare in modo di non cadere in una trappola comunicativa. Ma in me prevale la convinzione che si debba dare il giusto peso alla volontà di ascolto espressa dal presidente del Consiglio. E le dirò di più.

Prego.
Questa è la risposta giusta a chi crede che la politica sia autoreferenziale.

Non è che invece questi Stati generali sono un diversivo politico per celare difficoltà e un certo nervosismo da parte del premier in questa fase 2?
Mi stupirebbe se non ci fosse nervosismo di fronte a una prova così gigantesca. Se fossimo tutti felici e sereni saremmo solo degli irresponsabili. Invece, si avverte giustamente il peso di una forte responsabilità di fronte a una crisi di tali proporzioni che richiede anche tanto coraggio. E’ chiaro, quindi, che tutto questo porta tensione. Che va trasformata in tensione positiva nella costruzione del nuovo.

Un’occasione da non sprecare, insomma.
Sì, ma non può risolversi nel mettere indietro le lancette dell’orologio. Per ripartire, questo Paese ha bisogno di un cambio di paradigma, di aprire una stagione fondata su uno Stato innovatore, in un quadro di riconversione ecologica ed economica della società.

A proposito dell’Italia che verrà, il piano Colao è più un libro dei sogni o degli incubi?
Ci sono alcuni stimoli importanti ma anche aspetti irricevibili.

Quali boccia?
Ad esempio i condoni. Non riusciamo a capire come mai alla fine siano stati inseriti in quel documento. E’ chiaro che spetterà alla politica, poi, disegnare un quadro di cambiamento del paradigma perché quello che emerge dal piano Colao risponde a un paradigma più tradizionale. Ma vorrei chiarire un aspetto.

Dica.
E’ vero pure che nessuno ha chiesto a Vittorio Colao di stilare un programma di governo.

Ha ravvisato altre lacune?
Ci sono spunti sul digitale e sulla mobilità ma potevano esserci, a mio avviso, maggiori elementi di novità. Penso per esempio al fronte della giustizia sociale, per troppo tempo la grande assente in questo Paese.

Crede che questo piano vada discusso in Parlamento?
Una prima sintesi tocca al governo. Poi, certamente, serve il passaggio parlamentare. E’ chiaro che questi contributi dovranno trasformarsi nel piano delle riforme che si accompagna alla nota al Def. Si tratta di un piano di prospettiva che guarda non ai prossimi mesi, ma anni.

C’è, però, il fattore tempo che non è secondario. Anche perché l’Europa osserva. Condivide il richiamo del segretario Pd Zingaretti che, accogliendo gli Stati generali, si è raccomandato su rigore e tempi certi?
Concordo con la posizione del Pd che, attenzione, è di stimolo e non di critica. Bisogna fare, tutti insieme, un salto avanti nell’interesse del Paese. Questa è una occasione unica. Se arriveranno risorse dall’Europa la sfida sarà spenderle bene. Ecco perché è necessario mettere in campo una grande capacità progettuale e di sintesi tra i vari partner di maggioranza.

La sintesi, appunto. E sul Mes pare lontana.
Tutti gli strumenti Ue vanno valutati e letti insieme, partendo dal presupposto che nessuno ci regala niente. In questo quadro è stato, quindi, importante il lavoro svolto dal premier Conte e dai ministri Gualtieri e Amendola per convincere le istituzioni europee sulle risorse a fondo perduto. Rimane lo scoglio della tempistica. Noi abbiamo bisogno di sostegno adesso e non nel 2021.

E il fondo Salva-Stati sarebbe più a portata di mano, non le pare?
Sul Mes sono stati compiuti passi avanti rispetto alle linee tradizionali di intervento. Ma rimane una questione da non sottovalutare.

Quale?
Non possiamo essere solo noi come Italia a farne richiesta. Suonerebbe come una dichiarazione di debolezza che provocherebbe un effetto psicologico e uno più concreto.

Si spieghi.
Si accenderebbero i fari dei mercati su di noi. E l’effetto a cascata potrebbe essere un innalzamento dei tassi sui servizi al debito. Se i mercati alzassero il rendimento sulla restante parte del debito pubblico italiano in occasione delle aste, insomma, il beneficio del Mes verrebbe mangiato. E, quindi, in un’ottica di sistema, non ci converrebbe più.