Mieli: “Sarà un autunno infernale. E sento aria di elezioni anticipate”

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Paolo Mieli, giornalista, scrittore e storico, nel suo ultimo libro, L’Italia di Mussolini in 50 ritratti (Centauria), ancora una volta cerca di fare luce sui punti oscuri del Ventennio.

Passano gli anni, ma il fascismo viene ancora citato a sproposito?

«C’è ancora poca chiarezza sui meccanismi con cui salì al potere. Molti pensano solo alla marcia su Roma. In realtà fu un passaggio molto complicato, denso di occasioni perse da parte degli avversari del fascismo».

E oggi?

«Oggi il fascismo non è alle porte. E chi lo pensa sta semplificando troppo. Ove mai una forma nuova di fascismo stesse arrivando, magari con un volto mondiale molto diverso dagli anni Venti, avremmo comunque tanti strumenti per divincolarci.

Spero che certi capitoli si chiudano con una mano d’oblìo. E che tramonti l’idea di una storia che si ripropone uguale a sé stessa».

Sarà difficile per le nuove generazioni studiarla, se le scuole non riaprono in sicurezza. Il 14 settembre è dietro l’angolo.

«Le numerose task force hanno avuto mesi di tempo per prospettare soluzioni sui settori fondamentali: le comunicazioni, le fabbriche, e per l’appunto le scuole. La Cina ha affrontato la crisi pandemica con 2 mesi di anticipo: è stata la prima a denunciare, ad esempio, i focolai da rientro.

Avremmo dovuto scendere con i piedi per terra, magari mandare qualcuno fisicamente in Asia per studiare soluzioni. Avevamo tutto il tempo».

Invece?

«Invece i vari Stati generali, le varie task force, si sono rivelate delle messinscena, per promuovere l’immagine di un governo all’altezza. I problemi concreti non sono stati affrontati».

Perché hanno riaperto gli stadi e persino le discoteche, ma non si trova una soluzione per gli studenti?

«Chiudere tutto è semplice, riaprire è più complicato. Ma, detto questo, il tema della scuola è stato affrontato in maniera pazzesca.

Prima la storia dei banchi a rotelle, poi gli scuolabus, oggi la polemica è sulla misurazione della febbre a casa o a scuola. Discussioni senza senso. Anche la trovata di riaprire le scuole il 14 per poi richiuderle una settimana dopo per le regionali, francamente non la comprendo. Il governo procede al buio, a tentoni, e il rischio è grandissimo».

Come finirà?

«Sicuramente, a partire dal primo giorno di scuola, prepariamoci a 20 giorni di caos indescrivibile. Sarà l’autunno più infernale di sempre».

Dunque abbiamo perso tempo prezioso per necessità propagandistiche?

«È naturale che il presidente del Consiglio voglia imbellettare la situazione per rafforzare la propria immagine. Mi stupisco semmai dei partiti che lo sostengono, i quali non si sono affatto mostrati all’altezza. E pensare che hanno avuto la fortuna di avere un’opposizione più morbida rispetto all’autunno scorso».

Dunque alle regionali la maggioranza rischia?

«Potrebbero risvegliarsi avendo perso gran parte delle regioni che governavano: e sarebbe un brutto risveglio».

Il voto al referendum può condizionare la tenuta del governo?

«Il partito del No sta crescendo ed è trasversale, ma è improbabile che vinca: se accadesse, sarebbe una vera sorpresa, e la situazione precipiterebbe. Ricordiamoci però che in questi casi non conta solo l’esito del voto, ma anche il peso dei risultati».

Cioè?

«Nel 1978, in occasione del referendum sull’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, le forze politiche imposero la loro linea nelle urne. Ma i voti contrari alle indicazioni dei partiti furono così tanti da scatenare comunque un terremoto nei mesi successivi».

Proviamo a fare una previsione.

«In autunno bisognerà decidere: tentare di portare a termine la legislatura e arrivare all’elezione del presidente della Repubblica, oppure andare alle urne in primavera. In questo momento sento parecchi scricchiolii: crescono le probabilità di andare a elezioni anticipate».

Tra Pd e 5 stelle sembra pronto lo scambio supremo: il sì al taglio dei parlamentari in cambio della legge elettorale.

«Hanno affrontato la questione nel peggiore dei modi: è un accordo fatto in fretta e furia, per giunta mentre il Paese è nel caos, alle prese con ben altri problemi».

Dunque qual è l’immagine che arriva ai cittadini?

«Di pazzi. Esasperati da ragioni tattiche, che invece di affrontare con tutte le energie necessarie il problema della riapertura delle scuole, hanno un’unica ansia: reintrodurre il sistema proporzionale».

Insomma, un mercimonio?

«Quando il Pd formò una maggioranza con i 5 stelle, accettò il taglio dei parlamentari in cambio di una legge elettorale che però doveva essere approvata contestualmente. Perché hanno aspettato un anno senza fare nulla? E non mi vengano a dire che è colpa del virus, che è arrivato a marzo».

Il segretario del Pd Zingaretti si accontenterebbe di approvare la legge elettorale in un solo ramo del parlamento.

«Non capisco il senso. Se poi quelli che arriveranno dopo decideranno di modificarla ancora, che si fa?».

Dicono che la riforma costituzionale è rischiosa se non accompagnata dalla legge elettorale.

«Stiamo toccando la Costituzione in maniera non marginale. Se una cosa è rischiosa non la si fa. Altrimenti è un gesto sconsiderato».

Un’offesa alla democrazia?

«Tagliare i parlamentari si può, ma in un contesto di riscrittura e redistribuzione dei poteri dello Stato. Altrimenti è uno sputo sul Parlamento. È dare ragione a chi sostiene che, quando si parla di rappresentanza politica, meno siamo e meglio stiamo. Niente più che uno slogan».

Un Pd in crisi di identità, che dopo aver suonato per anni l’allarme democratico, oggi appoggia questo lungo stato d’eccezione?

«Il problema più vistoso riguarda certamente il Partito democratico, che da tempo trova rifugio nel presentarsi come garante della Costituzione, oltre che dell’Europa. Ma non è solo un problema del Pd».

In che senso?

«Questa legislatura è servita sia alla destra che alla sinistra per contenere i 5 stelle. E un po’ tutti si stanno rendendo conto che volendo domare il M5s hanno fatto una concessione, cioè il taglio dei parlamentari, che non andava fatta.

Dunque in questo difficile passaggio prevedo una forte debolezza di tutti gli assetti politici. Una stagione molto caotica».

Sarà caotico anche il voto per eleggere il nuovo capo dello Stato?

«I partiti di governo stanno sottovalutando le difficoltà dell’elezione quirinalizia. Se resiste questo Parlamento, la soluzione più semplice è rieleggere Mattarella al primo scrutinio, con il metodo Ciampi.

È vero che sarebbe un ulteriore segno di debolezza dei partiti, ma è la via più sicura. Se invece proveranno altri nomi con giochi e controgiochi, allora saranno dolori».

Ormai la cosiddetta Terza Repubblica sta per compiere dieci anni. Ma ancora fatichiamo a decifrarla. Pare quasi un eterno medioevo politico. E non si vedono rinascimenti all’orizzonte.

«C’è un solo modo per uscire vivi dalla Terza Repubblica: tornare alla Seconda».

Come sarebbe?

«Una Repubblica funziona solo se gli elettori sono coinvolti: non parlo solo dell’elezione parlamentare, ma anche della nascita delle maggioranze di governo. Con una sana alternanza di governo. È la via che indicò Marco Pannella trent’ anni fa: tendere al bipartitismo, pur con tanti ostacoli sul percorso».

Un ritorno al principio dell’alternanza? Difficile, con i 5 stelle a metà campo.

«La necessità li costringerà comunque a scegliere: o di qua o di là. Mi ricordano un po’ la Lega di Umberto Bossi: vanno dove li porta il leader. E Beppe Grillo ha deciso che il Movimento andrà a sinistra».

Con scissioni dolorose?

«Scissioni sì, ma assolutamente marginali».

E il partito rivoluzionario finirà normalizzato?

«La storia dei 5 stelle è finita. Anzi, forse era già terminata l’estate scorsa, quando la Lega gli portò via metà dei voti. Non hanno più nessun potere, se non quello di allearsi con la sinistra esortati dal loro guru».

Comunque sia, il ritorno a un’Italia bipolare, con maggioranze più legate agli orientamenti popolari, oggi sembra più un sogno che un’eventualità.

«La Seconda Repubblica percorreva questa strada maestra, pur con tante variazioni sul tema. Invece la Terza annaspa in uno stagno. E saranno anni infernali, con riforme che non si faranno e maggioranze che non terranno».

Uno stagno pericoloso, soprattutto in tempi di emergenza sanitaria?

«Sì, una democrazia nello stagno corre gravi rischi. Anche quelli di scegliere modelli autoritari per uscirne».

Governare tramite Dpcm rende più grave questa deriva?

«Non direttamente. Però anche questo abitua gli italiani al fatto che gli unici momenti buoni sono quelli in cui decide un uomo solo, o un piccolo gruppo. Così l’autoritarismo si ripresenta come una degenerazione: tutti siamo portati a sperare che un Cesare venga a decidere al posto nostro. E purtroppo, in tutto questo, il Covid aiuta».                                                                                                             (Federico Novella – la Verità)