Il covid ha amplificato i drammi, le differenze, le disuguaglianze, infrastrutturali e umane.

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Ci alziamo la mattina, accendiamo la tv, compriamo i giornali, e giù pesante con numeri, numeri e numeri.

Il numero dei positivi, il numero dei morti, il numero dei posti letto, delle terapie intensive, dei medici, persino il numero delle bombole d’ossigeno, quando i NAS non le sequestrano perché sono scadute (com’è accaduto in Puglia qualche giorno fa).

Adesso si discute anche dei 21 parametri che consentono di distinguere le varie zone d’Italia tra gialle, arancioni e rosse. Meglio 5 – dicono le regioni.

Nel mezzo le persone.
La paura.
La solitudine.

Insieme al lavoro, gli italiani rischiano di perdere anche il sorriso e la speranza del domani.

E poi c’è il problema riguardante i giovani.
Secondo Save the children, in Italia, circa 1 milione e 140 mila ragazze tra i 15 e i 29 anni rischiano, entro la fine dell’anno, di ritrovarsi nella condizione di non studiare, non lavorare e non essere inserite in alcun percorso di formazione. Un limbo in cui già oggi è intrappolata 1 ragazza su 4, con picchi che si avvicinano al 40% in Sicilia e in Calabria. Divari di genere che si ripercuotono anche sul fronte occupazionale con un tasso di mancata occupazione tra le 15-34enni che raggiunge il 33%.

A questo si aggiunge che negli ultimi dieci anni l’Italia ha perso oltre 385 mila minori.

Allora, forse, lo sforzo che serve oggi è di guardare la pandemia anche oltre la pandemia, di analizzare con cura gli effetti disastrosi che questa ha avuto su quelle comunità e quei territori che oggi sono al collasso perché già prima arrancavano. Guardare l’Italia da nord a sud e da sud a nord, dai bambini e le bambine agli anziani, perché ciascuno porta dentro di sé un piccolo mondo e questi mondi insieme fanno l’Italia variegata e democratica che tutti meritiamo.

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